Strip Poker – Il Pornhub del passato!

Siamo una generazione fortunata… non siamo ancora del tutto ciechi.

Mi chiamo Roberto e appartengo con orgoglio (ma anche un po’ di acciacchi) alla gloriosa generazione dei “Boomer”.
Classe 1964, ho vissuto in diretta il grande spettacolo del progresso tecnologico dagli anni ’80 in poi .

Oggi, nel 2025, è tutto “smart”: smart TV, smartphone, smart working… manca solo lo smart nonno, e poi abbiamo fatto tombola.
Ma negli anni ’80 le cose erano molto meno smart, molto più lente. E noi, con quella lentezza, ci andavamo a braccetto. Nessuna fretta, nessuna app. Per far funzionare qualcosa, serviva pazienza, qualche bestemmia e magari una botta ben assestata al televisore.

Si cresceva con calma. Fino ai 17 anni si stava a giocare a pallone sotto casa, a cerbottana o a rincorrere lucertole come se fossero Pokémon vintage. Poi, a 18 anni, arrivava la fatidica cartolina verde: non era un invito a una festa, era il servizio militare.

Ma ce l’abbiamo fatta!! Siamo sopravvissuti! Alle elementari col fiocco, alle bacchettate del maestro Caiozzo sulle mani, agli incidenti in motorino senza casco, senza targa, e a volte anche senza freni. Un’epoca in cui Google era un nome da cartone animato, e la “nuvola” era solo quella che ti rovinava la partita a calcetto.

Il Ciao della Piaggio. Mio padre ne avevamo uno identico, blu ma con marmitta modificata. A 16 anni gli chiesi se potevo provarlo ma mio padre mi disse di no, ma mi promise comunque che potevo prenderlo a 18 anni. Il giorno del mio 18° compleanno gli ricordai la promessa che mi aveva fatto… gli dissi: papà ora che ho 18 anni posso prendere il motorino? Papà mi rispose… certo!! A pedali e fino alla fine della strada di casa!

Eravamo una generazione molto timida… o forse solo ben educata a suon di sberle (pedagogia old school, approvata da genitori e dai nonni). La privacy non esisteva, l’imbarazzo era costante, e l’educazione sessuale la ricevevamo a colpi di silenzi imbarazzati e leggende metropolitane. Anche noi — come i giovani di oggi — avevamo sogni e desideri.
Il sogno proibito? Essere come Hugh Hefner: vestaglia di seta, sigaretta accesa e circondato da conigliette che di coniglio avevano solo le orecchie. Lui era il re di Playboy, l’uomo che sembrava vivere in un perenne addio al celibato. 🙂

Noi, al massimo, ci accontentavamo di vedere una foto sfocata su una rivista nascosta in cima allo scaffale del giornalaio.
Passarci davanti era una vera sfida: con la coda dell’occhio scorgevi quelle copertine provocanti che ti fissavano dall’alto, come se sapessero tutto su di te… Olindo, il mio giornalaio, sapeva che non avremmo mai avuto il coraggio di comprarle, cosi le metteva nel ripiano in alto lasciando in bella esposizione almeno mezza copertina.

Sul sesso? Sapevamo poco. Anzi, pochissimo. Tipo che “la cicogna” era ancora considerata una fonte abbastanza attendibile.
Ma tranquilli: l’ignoranza era ben distribuita. Una vera forma di uguaglianza sociale.

Hugh Hefner con i camerieri dell’originale Playboy Club, Chicago, 1960
(PRNewsFoto/Playboy Enterprises, Inc./AP Images)

Parlare di sesso in famiglia? Un vero tabù. Bastava pronunciare la parola “mutandine” e già ti guardavano come se avessi bestemmiato in latino. Ci si confidava però con gli amici, con i cugini più grandi (spesso mitomani), o con qualche collega di lavoro. Ci raccontavano storie leggendarie, tipo Indiana Jones ma col gel nei capelli: incontri roventi consumati dietro i juke-box, o prestazioni epiche in cambio di un paio di collant in Jugoslavia — che all’epoca, evidentemente, avevano più valore del barile di petrolio.

Si andava in discoteca con grandi speranze e zero mezzi di trasporto. L’autobus era l’unico after-party possibile. Ma ogni tanto, quando eri “fortunato”, ti offriva un passaggio un tipo in macchina che, invece del flirt, ti regalava la paura: si accostava al guardrail e improvvisamente la portiera sembrava saldata. “Che fai bello, non scendi?” “Scendo sì, ma qua c’è il guardrail e la portiera non si apre… vai due metri più avanti… se ci tieni alla tua integrità fisica.”

Negli anni ’80, quello che per noi era pura erotomania, oggi passerebbe come contenuto educativo per le elementari.
Eravamo sognatori a basso budget: bastava intravedere un’ombra sospetta sotto una mutandina del Postalmarket e partiva il concerto sinfonico degli ormoni. La notte si passava a fare zapping selvaggio, saltando da una rete all’altra con la speranza — neanche troppo velata — di beccare una nudità imprevista, magari anche solo una tetta sfuggita al controllo della regia.

Il giorno dopo ci si presentava a scuola o al lavoro con occhiaie più profonde dei testi di Baudelaire e lo sguardo perso di chi ha passato la notte in trincea… con se stesso. Tutto per un ora di pixel sgranati e una fantasia alimentata magari da due curve appena pronunciate. La mattina di solito si avvertivano disturbi visivi e fuoriuscita di foruncoli strategici, ma anche tremori alle ginocchia, mal di testa, bulimia nervosa. Raramente anche misteriose malattie veneree — senza aver mai avuto rapporti con niente di vivo —, calvizie precoce (ce l’ho ancora), tisi, mielite e forse pure un principio di peste bubbonica.

Tutto, ovviamente, auto-diagnosticato: Google non c’era, il medico di base non indagava su certi sintomi, e confessare era peggio che dichiarare il peccato originale.

Umberto Smaila e le sue ragazze Cin Cin hanno provocato migliaia di danni permanenti alla retina!!!

Ma io ero un ragazzo fortunato — un vero privilegiato dell’epoca. Non avevo bisogno di Postalmarket, né di televendite ambigue alle due di notte. Il mio portale verso l’erotismo digitale si chiamava Commodore 64, un sistema “aperto” — nel senso che ci girava di tutto, compresi software pirata e giochi al limite della decenza e della legalità. Tra i capolavori proibiti dell’epoca spiccava lui:
“Strip Poker” con Samanta Fox. Un titolo, una leggenda. Un’esperienza videoludica che oggi farebbe sorridere, ma che allora era l’equivalente di Only Fans in floppy disk. Tutti, almeno una volta, ne avevamo sentito parlare. E chi non ci aveva giocato, fingeva di sì per non essere escluso dal club degli “iniziati”. Samanta Fox, all’epoca, non era nemmeno una vera celebrità. Non sapevamo se cantasse, recitasse o semplicemente esistesse per caso. Ma era universalmente nota per due motivi molto evidenti… e un quoziente intellettivo da calcolatrice solare. Proprio per questo era adorata da ogni adolescente con un joystick e una speranza.

Mi ricordo le file per ottenere il poster in omaggio, e le mitiche riunioni segrete a casa di qualcuno, con le tapparelle abbassate, i genitori fuori. Il C64 caricava lentamente (tipo due ore e mezzo) mentre noi sudavamo più della scheda grafica.
Il premio finale? Una singola, gloriosa immagine in topless 8-bit, così pixelata che serviva fantasia, fede e una buona dose di astigmatismo per capire cosa stavi guardando. Ma bastava. Altro che 4K: quella era alta definizione per l’anima.

Oggi, preso da un attacco acuto di nostalgia e ormoni d’archivio, ho deciso di regalarvi questa piccola sessione “vietata ai 18 :)” — un tuffo nei gloriosi tempi andati, quando il massimo della trasgressione stava in una schermata a 16 colori. Un modo per farvi capire quanto siamo stati… miracolati. Sì, perché noi siamo sopravvissuti a un’epoca in cui l’erotismo era più pixel che pelle, e bastava un’immagine sgranata di Samanta Fox per provocare un improvviso bisogno di… privacy.

Oggi molti di noi portano gli occhiali. Ma non per sembrare più intellettuali, eh no.
Li portiamo perché, negli anni bui dell’adolescenza, abbiamo conosciuto lei. Samanta Fox in versione 8-bit, cercando di distinguere il confine tra il braccio e… qualcos’altro. Altro che realtà virtuale: noi avevamo l’immaginazione e una pazienza infinita.

Elenco dei giochi preservati:

Vi saluto lasciandovi un piccolo regalo: un download speciale dove troverete quei giochi “proibiti” che ci hanno fatto sorridere, sognare e, in fondo, anche crescere. Perché a volte è proprio dietro uno schermo a bassa risoluzione che abbiamo imparato le lezioni più dure e improbabili… ma anche le più memorabili.

Buon divertimento — e che la nostalgia vi guidi.

RL

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