La Befana a cavallo di un Computer

I tempi cambiano ma il dubbio resta. Il computer è stato un bene per l’umanità?

E’ il 1983 è siamo agli albori dell’informatica . Una grande frenesia invade il paese, migliaia di personal computer vengono venduti ma molti si domandano se non sia meglio prendere tempo e aspettare ancora un po. C’è tanta voglia di crescere e questo suscita impatti sociali sull’innovazione.

Meglio l’uovo oggi o la gallina domani??

La paura di un alfabetizzazione è sempre più presente. Perché i ragazzini devono imparare con delle “cartucce” e non con la scuola?? Su una sola cosa tutti sono certi, che i sistemi informatici in futuro rappresenteranno una notevole parte dei consumi.

Per fare un po di chiarezza, Romeo Bassoli, un grande protagonista del giornalismo
scientifico in Italia, intervista Giovan Battista Gerace, pioniere dell’informatica in Italia e docente dell’Università di Pisa.

24 Dicembre 1983 (Intervista originale)

ROMA – Lo sguardo attento va dalla tastiera al video, dal video alla tastiera. Il cursore verde e pulsante corre da un angolo all’altro del plexiglass. Quel bambino sta giocando?? Sta imparando un nuovo alfabeto?? «Sta lavorando»?? Il genitore non sa rispondere con decisione, ma è soddisfatto di avergli regalato il piccolo computer a 48 K (un numero sufficiente, gli ha assicurato il venditore, per «fare cose interessanti»).

Del resto, mille segni lo confortano: il regalo di Natale del 1983 è decisamente lui, il personal computer o il suo fratello povero (la sua metafora), il video-gioco. Le case produttrici parlano di vendite stratosferiche di «computerini» dischetti, cassette, «cartucce» per giocare e programmare.

Si dice di decine e decine di personal, di centocinquantamila video-giochi. Vanno a ruba, non si trovano più. Ma è davvero una buona scelta regalare microelettronica ai ragazzi o ai bambini? O meglio, sono verosimili le risposte- spiegazioni che un genitore si dà al momento di decidere l’acquisto (è una scelta per oggi che guarda il futuro, è un regalo utile, è un bel giocattolo)? Abbiamo girato la domanda al professor Giovanni Battista Gerace, docente dei sistemi di elaborazione dell’informazione dell’Università di Pisa.

«Utile? Be certo – risponde Gerace – questa è la convinzione del genitore, che in caso contrario non investirebbe centinaia di migliaia di lire in questi oggettini. Ma volendo essere più precisi occorre scomporre il problema. Mi permetto una divagazione pedagogica: il “mestiere” del bambino e del ragazzino è giocare, ed è ormai dimostrato che chi da piccolo non ha fatto certi giochi si ritrova poi, da grande, qualche difficoltà in più nell’affrontare quelle situazioni, anche di lavoro, che riproducano le logiche di quei giochi” saltati” nell’infanzia. Ma il computer, allora, quando viene usato per programmare (che per un bambino in fondo è sempre un gioco), può facilitare l’uomo di domani? «Indubbiamente sì, ma facilitarlo per fare cosa? A ragionare in una certa logica, quella della programmazione indubbiamente. Che è poi una successione di ordini che il ragazzo da alla macchina, inframezzati da “inferenze”, da deduzioni logiche (se accede questo devi fare quest’altro, ti suggerisce il computer). Insomma, una logica semplificata ma pur sempre una logica formale, che non ti permette di fare “salti”, o perlomeno di trascurarli. Questo, peraltro, si adatta al modo di ragionare di un ragazzo. Ecco, regalando un personal con cui programmare il genitore “ricava” questo vantaggio per il figlio. E non è da poco in un Paese dove tutti siamo i figli di Benedetto Croce e dove il metodo scientifico è perlomeno trascurato nei processi educativi. D’accordo, però io ricordo di aver letto un tema di un ragazzo di quattordici anni, liceale, piccolo mostro nei videogiochi e soprattutto nella programmazione al computer. «Bene, il suo discorso correva con una logica ineccepibile. Peccato che fossero frasi vuote, prive di concetti e di idee. Corriamo allora il pericolo che, abbandonando il ragazzo al computer (come alla tv) si finisca per istruirlo ad una sola logica? «Certo, il pericolo esiste ed è quello di dare al ragazzo un unico strumento per ragionare: la logica algoritmica. Questo comporta difficoltà nel sintetizzare le situazioni… Cioè a capirle. «Si. Può accadere che un testo composto da in ragazzo che passa il suo tempo davanti al computer, abbia una successione logica perfetta, ma sia privo di significato, una semantica folle. Quello indotto dal computer è un modo di ragionare che abitua ad una grande disciplina mentale, ma se diviene l’unico strumento logico, l’unico modo di ragionare, allora, si può trasformare in un mancato sviluppo delle potenzialità di sintesi e della stessa fantasia del ragazzo. Ecco abbiamo visto i vantaggi e i pericoli. Ma l’utilità, diciamo così, pratica? Insomma, serve davvero a giocare al programmatore fin da ragazzini? Oppure è una fatica inutile? «Io ho un ragazzo di 14 anni e una ragazza di 12, e non ho mai pensato di comprare a loro un calcolatore. Loro utilizzano i video-giochi degli amici e vedo che si divertono molto, e va bene. Con questo non voglio dire che escludo in futuro di acquistarlo. Probabilmente, anzi, ad un certo momento della loro vita sarà utile far compiere a loro una esperienza in questa direzione. Però vorrei chiarire che, secondo me, imparare a programmare in sé è una cosa persino stupida, e non sarà certo questa la chiave di un domani. Possono impararlo oggi, ma anche quando ne avranno effettivamente bisogno. Troviamo una conclusione a questa chiacchierata… «A me andrebbe bene questa: i bambini di oggi incontreranno prima o poi un computer sulla loro strada, ma non c’è motivo di farsi prendere dalla fretta. E c’è qualche pericolo, oltre a quelli che abbiamo già visto. Perché esistono “cartucce” che istruiscono i ragazzini, ma come? Questo approccio tutto consumistico alla alfabetizzazione informatica può essere deformante. Incominciamo a chiederci perché non c’è una alfabetizzazione diretta della scuola pubblica, con criteri pedagogici e scientifici precisi. E poi, queste migliaia di personal, dischi, “cartucce”, provengono tutte dall’estero. E questo è appena un’avvisaglia quando il mercato dei videogiochi, del computer, di altri strumenti di cui oggi non abbiamo neanche un’idea, rappresenterà una parte notevolissima dei consumi. Gli altri paesi si stanno attrezzando per questa sfida, noi rischiamo di rotolare tristemente nel nuovo Terzo Mondo che questo mercato creerà.

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