54° Dumping

Se c’è una cosa che riesce davvero a unire gli italiani, più del calcio, delle lamentele sul meteo e persino delle code in posta, è la pasta. Ma attenzione, non una qualsiasi. Qui si parla della regina incontrastata della cucina romana: sua maestà la Pasta alla Gricia. Un piatto che sembra semplice, ma che è in realtà un campo minato gastronomico. Basta nominarla per scatenare un dibattito più acceso di un consiglio comunale durante un blackout. Il tavolo è imbandito, il vino gira come se fosse una puntata speciale di Superquark e, inevitabilmente, parte la domanda che divide più della politica:
“Ma voi la Gricia la fate con il guanciale o con la pancetta?” Ed eccolo lì, il purista della tavolata, che si alza in piedi con il guanciale in mano come se fosse la spada nella roccia: “Solo guanciale, ragazzi! La pancetta è per i deboli!” Occhi sbarrati, tono da inquisitore, sguardo che non ammette repliche. Dall’altro lato, il pragmatico, con la pancetta nel piatto e un sorrisetto ironico:
“Ma dai, la pancetta è più facile da trovare… e poi, chi se ne frega? A me piace!” E a quel punto la discussione prende fuoco come l’olio nel wok di uno chef distratto. Ogni boccone è accompagnato da un sorso di vino — rigorosamente servito in una tazza bianca con la gloriosa scritta “DumpClub64”, ormai mezza scolorita ma ancora fiera, stampata in Comic Sans come Dio (e gli anni ’90) comandano. Dopo qualche giro di brindisi, inevitabilmente qualcuno parte con il classico excursus su come la Gricia sia nata tra i pastori abruzzesi. E subito altri si lanciano in dibattiti degni di una conferenza TED sulla stagionatura del pecorino romano:
“Se non è stagionato, non vale nemmeno la pena di metterlo in pentola!” Annuiscono tutti, con lo stesso fervore con cui un tempo si difendeva Street Fighter II contro Mortal Kombat. E a quel punto, succede sempre la stessa magia: la tavolata si trasforma in un crocevia culturale tra carbonari e retrogamer. Un culto segreto. Una confraternita a metà tra una sagra paesana e un LAN party del 1988. Sono loro. Quelli che mangiano Gricia e sorseggiano nostalgia a 8 bit. Chi sono costoro? Sono i membri del DumpClub64. Gli ultimi baluardi di una generazione che ha salvato principi con caschi da motociclista, sconfitto draghi che sembravano tartarughe rotte e che ancora oggi sussurrano “LOAD”*”,8,1” con la stessa solennità del Padre Nostro. Mentre il pecorino si fonde col guanciale, si raccontano imprese leggendarie: come quella volta che a Summer Games hanno perso l’uso del polso per tre giorni. O il trauma collettivo di Impossible Mission, con tanto di bestemmie su pixel e collisioni maledette. Nel loro mondo, il Commodore 64 non è un computer. È un oracolo beige che gracchia emozioni con il SID chip e profuma di plastica cotta e gloria. “Ti ricordi The Great Giana Sisters?”, chiede uno, mentre si scola il terzo caffè dalla sua tazza DumpClub64 (che ormai sa più di ricordi che di arabica).
“Altro che Mario Bros! Quelle sorelle avevano le palle… e pure i bug!” E poi, immancabilmente, compare lui: il joystick QuickShot. Lo appoggiano in mezzo al tavolo, tra le briciole di pecorino e i bicchieri mezzi pieni, come un cimelio sacro. Qualcuno lo afferra, preme un pulsante, e lo sfrigolio è più rumoroso di un martello pneumatico. “Stay a while, stay forever!” gracchia una voce. Scatta l’applauso. Qualcuno si commuove. Alla fine, il segreto del DumpClub64 è tutto lì: unire due patrimoni dell’umanità — la cucina romana e il gaming vintage. Un mondo in cui il guanciale si fonde con la RAM, il pecorino si scioglie come una cartuccia appena soffiata, e dove la Gricia viene sempre, rigorosamente… caricata da nastro. E tu? Hai mai finito Bruce Lee senza perdere una vita, mentre con l’altra mano infilavi la forchetta nella pasta? Se sì, sei dei nostri. Se no, ti aspettiamo. Porta il pecorino. E lascia perdere il Wi-Fi.

RL

Crediti: Foto Fabio Strurabotti


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